Dubbio patologico: la perversione della ragione

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A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma

“Chi mi può garantire che questa cosa non accada? Quale può essere la scelta giusta?”

Ovviamente nessuno può avere la certezza assoluta che un evento si verifichi o meno, ed è proprio su questo che si innesca il dubbio patologico: la sovrastima che quella risposta sia positiva e la sottostima che sia negativa o viceversa, dando seguito alla necessità di avere il controllo anche di ciò che per natura è probabilistico. Per esempio: “stasera pioverà? E’ probabile di no, ma chi mi assicura che di fatto all’improvviso non piova?” E’ proprio questa “indimostrabilità del contrario” che alimenta il dubbio patologico come una concatenazione di domande e dubbi che immobilizzano la persona, la quale rimugina più volte al giorno sulla stessa domanda senza trovare mai una riposta “certa”, all’interno di un circolo vizioso (autoinvalidazione ricorsiva) che non ha mai fine. Il dubbio patologico è una forma di disturbo ossessivo caratterizzato da domande che si rincorrono senza avere una risposta certa tramite un ragionamento razionale.

Si tratta infatti di domande che, per come sono formulate, non ammettono mai una risposta unica, univoca, ma contemplano l’aspetto probabilistico della realtà e pertanto si affastellano ella mente della persona che non tollera la frustrazione dell’incertezza, ricorrendo la risposta giusta che tuttavia darà origine ad un nuovo dubbio.

Le domande possono riguardare un solo argomento o la scelta tra due opzioni, scelta che ovviamente non verrà mai attuata poiché saranno infinite le prove a supporto dell’una e dell’altra come soluzione migliore: nel dubbio, la persona non sceglie, non tollerando per altro il benché minimo margine di incertezza circa la questione posta dalle ossessioni, anche qualora si tratti di problematiche sulle quali è normalmente accettata da tutti l’esistenza di un piccolo margine di rischio, per quanto trascurabile.

Nell’intento di frenare il loop di domande e risposte, la persona cerca di “non pensare” ottenendo però l’effetto contrario, oppure cerca di razionalizzare tutto, ma più cerca di capire, più si “incarta” alimentando così la catena di dubbi. Questi schemi di pensiero ostacolano l’elaborazione cognitiva che implode su se stessa e ciò comporta dei forti limiti nella vita delle persone colpite da questo disturbo, perché tendono a “bloccarsi” e a non svolgere più le normali attività quotidiane e ad isolarsi rispetto alle relazioni sociali.
Tutto viene vissuto allora come un grande peso e può essere presente uno stato di insoddisfazione; per questo, talvolta, le persone lamentano sintomi quali l’alzarsi con fatica, il sentirsi tristi, “giù di tono”, dolori fisici, astenia. Il worrying, ( dall’inglese “preoccupante”) ovvero la ruminazione, comportano una grande dispersione di energia mentale e fisica, poiché i vari pensieri come tentate soluzioni, determinano una attivazione fisiologica tipica della risposta di attacco-fuga.

Il dubbio patologico tuttavia, si presenta in varie forme in diversi ambiti. Vediamo qualche esempio:

  • Iper-razionalizzazione: quando la persona, trovandosi a scegliere tra varie alternative, valutando razionalmente tutte le possibilità, finisce per il restare bloccata nella situazione in cui si trova.
  • L’inquisitore interno: quando l’individuo si attribuisce costantemente colpe, anche quelle non commesse realmente. Molto spesso questo si verifica a seguito dell’introiezione della figura di un genitore punitivo, per cui la persona cresce con la convinzione di essere il responsabile per qualsiasi cosa accada, anticipando colpe e punizioni anche irreali.
  • La paura della paura: tipica dell’attacco di panico, la persona, controlla costantemente il proprio corpo e ogni alterazione fisiologica che malinterpreta come segnale dell’imminenza di un attacco di panico. In realtà è già questo controllo di reazioni fisiologiche assolutamente normali, che di per sé innesca l’attacco di panico e la conseguente paura di perdere il controllo.

Si tratta di una vera e propria perversione della ragione poiché ci si incarta nel circolo di domande-risposte, nel tentativo di ottenere la rassicurazione massima in realtà impossibile, provando un profondo senso di confusione e disagio. Come cerca di uscirne la persona?

Diverse sono le modalità:

  • Ricerca di pareri da esperti: come per esempio gli ipocondriaci che finiscono con il consultare più medici e specialisti nel tentativo di sciogliere il loro dubbio sull’avere una data patologia. In questa maniera ci si affida pur rimanendo tuttavia insoddisfatti
  • Delega ad altri: coinvolgendoli nella ricerca di rassicurazioni o nella richiesta di prendere le decisioni al posto loro

Questi comportamenti vengono spesso attuati e mantenuti, poiché forniscono la sensazione di un sollievo immediato e l’illusione di una soluzione repentina. A tal proposito, un modo funzionale per interrompere il circolo vizioso dei dubbi, consiste, innanzitutto, nell’evitare di fornire spiegazioni rassicuranti, dal momento che in questo modo si finirebbe col ricreare, insieme al paziente, il meccanismo della delega.

Per quanto riguarda l’ aspetto terapeutico, si procede come per il disturbo ossessivo compulsivo. Da un punto di vista comportamentale si insegna alla persona, attraverso le tecniche di prevenzione e posticipazione della risposta, a tollerare la frustrazione ed il disagio per un tempo gradualmente crescente durante il quale rinvia il tentativo di fornire una risposta al suo dubbio ( condotta compulsiva): di solito già dopo 30 minuti assistiamo ad un abbassamento del livello di ansia senza aver fatto ricorso alla compulsione. Da un punto di vista cognitivo si procede invece con l’individuazione di quelle che Ellis chiama “idee irrazionali” che, nel caso del dubbio patologico, proprio come per il disturbo ossessivo compulsivo,  hanno spesso a che fare con il giudizio e la paura di non essere accettati dagli altri, soprattutto altri significativi “è terribile non ricevere l’approvazione degli altri”. Facciamo un esempio: se il dubbio ossessivo riguarda la certezza assoluta che entro la fine della giornata non pioverà, mi ritroverò a prendere ogni volta che esco l’ombrello e a provare in ansia qualora non lo abbia con me, sebbene fuori non ci sia nemmeno una nuvola in cielo. Di fatto non posso avere la certezza che non pioverà, e nessuno lo potrà mai garantirlo in modo assoluto senza ombra di dubbio. Tuttavia se andiamo ad indagare, il problema non sta nel determinare con assoluta certezza se pioverà o meno, ma molto probabilmente cosa significa per me ritrovarmi senza ombrello e quindi bagnarmi sotto la pioggia: potrei quindi temere il giudizio degli altri nel vedermi bagnato, o potrei sentirmi in colpa per non essere stato previdente e quindi non essere una persona adeguata o degna d’amore per il fatto di essermi bagnato Si procede quindi con la ristrutturazione cognitiva portando la persona a constatare che non è possibile né auspicabile avere certezza assoluta circa questioni per le quali è invece necessario tollerare un margine di rischio. La ristrutturazione va inoltre effettuata sulle credenze di base legata alla non amabilità e all’ inadeguatezza alla radice del dubbio ossessivo.

Bibliografia

G. Nardone “Psicotrappole”, Ponte delle Grazie, 2014

G. Nardone,” Psicosoluzioni. Risolvere rapidamente complicati problemi umani, BUR, Milano, 1998.

S.K. Reed, “Psicologia Cognitiva. Teoria e applicazioni, Il Mulino, Bologna, 1989.

 

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