“Mia moglie soffre di attacchi di panico, cosa faccio?”: la famiglia e il ritorno alla “normalità”

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attacchi di panico ruolo famigliari psicoterapia romaA cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma.

Il disturbo di panico e in generale i disturbi d’ansia sono delle bestie nere e chi ci è passato sa bene a cosa mi riferisco. Di solito ci si chiede quali siano le cause scatenanti, i fattori precipitanti, ma quasi mai ci si interroga su quali siano invece i meccanismi perpetuanti. Mi spiego meglio. La famiglia ha un ruolo preponderante sia per quanto concerne l’insorgenza, sia per il mantenimento del disturbo in quanto, nel primo caso è proprio il disagio del singolo che si fa portavoce di un maremoto familiare, nel secondo invece il nucleo familiare rivela la sua organicità: proprio come un organismo tende infatti all’omeostasi, ovvero ad un equilibrio proprio che coincide con quello della malattia. Insomma spesso i familiari una volta scoperto il disturbo e anche la disabilità che comporta preferiscono “farci il callo” anziché sostenere la persona nella ricerca della propria indipendenza. Si mettono così in moto quelle stesse dinamiche che hanno contribuito all’insorgenza del disagio: la persona viene considerata “malata”, “incapace di ritornare alla vita di sempre” proprio perché in fondo nemmeno prima la si considerava in grado di affrontare la vita, sminuendola, rendendola passiva e a volte anche umiliandola.

Pensiamo ad esempio ad una persona che soffre di un disturbo di panico che le impedisce gli spostamenti in auto: un familiare che la chiamerà continuamente per chiederle se ha bisogno di aiuto o che comunque asseconda ogni condotta di evitamento messa in atto proprio per evitare il panico (e che è alla base del panico stesso), di certo rinforzerà nella persona la credenza di essere un’inetta, un’incapace e soprattutto la convinzione che dipenderà sempre dagli altri e che quindi sarà una seccatura. l famigliare, ritenendo di ridurre, attraverso la sua presenza costante e protettiva, il livello di sofferenza del suo caro, in realtà, in modo più o meno consapevole ( e qui entriamo nel terreno del vantaggio secondario che esiste tanto per il paziente quanto per chi lo circonda) rinforza il disturbo e le condotte di evitamento. Infatti, in tal modo, non si permette al familiare di sperimentarsi come persona “efficace” nella gestione delle situazioni temute, aumentandone le sue difficoltà verso l’autonomia. E’ necessario, viceversa, apprendere modalità di risposta alternative, coerenti con gli interventi terapeutici, per riuscire a tranquillizzare il familiare/paziente e ridurre al minimo le condotte di evitamento. Ad esempio una tecnica della psicoterapia cognitivo-comportamentale è quella far esporre gradualmente il paziente alle situazioni temute ( esposizione graduale in vivo). La tecnica infatti prevede che, una volta fissati degli obiettivi finali, questi vengono graduati in sottopassaggi di difficoltà crescente, a partire dalla situazione più facilmente affrontabile. L’impegno richiesto ai familiari è modesto e si limita ai primi passaggi che possono, tuttavia, richiedere di essere ripetuti per svariate volte. Infatti, la tecnica prevede che per passare al livello di difficoltà successivo, sia necessario ripetere l’esposizione più semplice, finchè il paziente non si sente a suo agio nella situazione, o comunque l’ansia arrivi a livelli accettabili. Soprattutto, non drammatizzare se le prime esperienze dovessero risultare difficoltose, ed il paziente non riuscisse proprio a portare a termine l’obiettivo previsto: l’importante è riprovarci, ed in tal senso l’appoggio solidale dell’accompagnatore (anche se non presente e senza forzature eccessive) sarà fondamentale. E’ importante incoraggiare la persona a non demordere e soprattutto è di fondamentale importanza riconoscere i successi, anche se minimi, ottenuti quotidianamente nel recupero della propria indipendenza.

E’ vero, avere in famiglia una persona che soffre di un disturbo d’ansia può essere un’esperienza “faticosa” quanto frustrante, ma è indispensabile non perdere mai di vista la possibilità che la persona guarisca. Serve quindi molta pazienza, ma soprattutto è indispensabile informarsi sulla natura del disturbo e sui meccanismi che ne sono alla base: solo così, infatti, possono sapere cosa aspettarsi dalla malattia e dal processo di recupero e da sapere quando è necessario essere pazienti con il soggetto e quando, invece, stimolarlo.

Se dunque avete un familiare che soffre di un disturbo d’ansia o se voi stessi avete difficoltà, ecco di seguito alcune informazioni utili che i familiari dovrebbero sapere nel momento in cui decidono di voler aiutare la persona:

  • informatevi: sapere prima di tutto quali sono i meccanismo del disturbo d’ansia e che dal disturbo d’ansia si può guarire se si ricorre agli specialisti del caso ( psichiatra e psicoterapeuta)
  • sostenete l’autostima della persona ed elogiare ogni piccolo passo avanti
  • concedete tempo e spazio anche fisico: la terapia può richiedere del tempo per essere efficace; è importante che sia il paziente che i familiari abbiano pazienza
  • non colpevolizzate il vostro familiare: se non fa passi avanti cercate comunque di sostenerlo
  • Non proponetevi per primi nell’aiutarlo: ha paura, ma quasto non significa che non sa di cosa ha bisogno, perciò se vuole ve lo chiede
  • Non favorite l’evitamento: negoziate la possibilità di fare anche un piccolo passo in avanti, piuttosto che evitare completamente una situazione temuta.
  • Non assecondate il familiare quando vorrebbe smettere la psicoterapia
  • Non sacrificate la vostra vita, accumulando risentimenti per ciò che ritenete di non poter fare, “a causa” del disturbo del familiare.
  • Siate ironici: sdrammatizza e evita la generalizzazione del malessere. Questo ovviamente non significa denigrare o prendere in giro, ma semplicemente permette al paziente di prendere le distanze dalla situazione ansiogena

 

Questi consigli ovviamente non vogliono essere un vademecum per convivere con un familiare con problematiche ansiose, bensì cercano soltanto di essere dei piccoli suggerimenti volti a migliorare l’intesa familiare e la qualità della vita del paziente e dei suoi familiari.

Fermo restando che la sola persona che può essere artefice della propria guarigione è l’individuo stesso.

 

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