“Don’t say I love you”: ci si può sentire bloccati nel manifestare verbalmente l’amore?
A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma
Nonostante ogni storia d’amore sia vissuta in un modo unico, l’amore di per sé è il risultato di una elaborazione culturale che ha lasciato profonde tracce in ognuno di noi. Nessuna dichiarazione d’amore, nemmeno la più sincera è infatti libera dai pregiudizi e dagli stereotipi culturali, provenienti dalla società, dalla religione e dalla famiglia. Ognuno di noi cresce quindi con un bagaglio proprio, riguardo il come ci si comporta in coppia, il mostrare le emozioni, le proprie fragilità e i propri bisogni. Anche il dire TI AMO, per quanto possa sembrare una frase comune e scontata, è in realtà pregna di significati culturali e sociali che si uniscono a quelli più impliciti e soggettivi. Se, infatti, un ti amo detto da un americano è differente rispetto al significato che viene culturalmente attribuito da un indiano, è anche vero che una dichiarazione d’amore porta con sé aspettative, speranze, regole e divieti.: prima di tutte l’aspettativa di essere ricambiati.
Dire ti amo, quindi, cosa significa realmente?
-Anzitutto vuol dire esprimere un’emozione positiva, “provo dei bei sentimenti per te!”
– Il secondo significato è legato alla tenerezza ed ai comportamenti di accesso alla sfera intima. Significa quindi “puoi avvicinarti a me e vorrei avvicinarmi a te!”
– Da qui anche il senso più strettamente sessuale con il ti amo che significa “provo dell’attrazione fisica-sessuale per te!”
– Infine, spesso trasmette la speranza che da lì prenda avvio una relazione più profonda e concreta.
Tuttavia, oltre a questi significati più generali, non possiamo esimerci dal considerare quello che è il valore più soggettivo, alla luce del proprio passato, dei propri copioni delle proprie esperienze e aspettative, in cui un ti amo può anche essere sinonimo di esclusività, volontà di creare un nucleo familiare o ancora promettere amore eterno.
Se pensiamo che questi significati sono, come detto, influenzati da modelli operativi interni, soggettivi, più o meno funzionali, ecco che appare chiaro come spesso ci si possa sentire bloccati nel dichiarare il proprio amore a qualcuno: entrano infatti in gioco molte paure tra cui quella di essere deriso e incompreso ( maggiormente negli uomini) e essere rifiutate e abbandonate ( maggiormente nelle donne), celandosi rispettivamente dietro i clichè rispettivamente dell’uomo irraggiungibile o della donna algida. Come diceva Cesare Pavese “Ci sentiremo amati solo il giorno in cui potremo mostrare le nostre debolezze senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza” e, proprio per questa paura di esporsi troppo e quindi per non correre il rischio di subire la ferita narcisistica del rifiuto, si preferisce stare sulla soglia del sentimento, a volte anche mentendo a noi stessi circa la realtà portata del sentimento per l’altra persona. Il più delle volte, infatti, tendiamo a credere di conoscere cosa significhi per l’altro la frase “ti amo”, aspettandoci che abbia lo stesso significato che ha per noi, e proprio per questo ci attendiamo un “anche io”. In realtà però, proprio per paura che questo non si verifichi, tendiamo a volte ad anticipare il pensiero dell’altro negativamente e quindi, per non restare delusi, preferiamo tacere.
Dire ti amo ci fa sentire infatti nudi, privi di corazza, cosa che il mondo di oggi troppo spesso ci costringe ad indossare, finendo poi per adottarla come una seconda pelle. In realtà questo ci porta a falsare e reprimere le nostre emozioni e sentimenti, ignorando volutamente la portata che possono avere per noi e per il nostro interlocutore.
Comportamenti e atteggiamenti amorosi
La distribuzione dei comportamenti e degli atteggiamenti amorosi attribuiti ai due partner è in parte, come detto, determinata culturalmente, come anche influenzata dai rispettivi eventi e copioni di vita.
Tuttavia chiaro è come a volte le persone preferiscano “fare” anziché “dire”, proprio per evitare l’esposizione emotiva di cui parlavamo prima: da qui possiamo immaginare la difficoltà nel leggere i reciproci comportamenti. Anche se ovviamente è palese il rischio di fraintendimento, è altrettanto evidente come alcuni comportamenti siano più espliciti di altri riguardo l’espressione dell’amore che si prova. Se per l’uomo, infatti, i bisogni più importanti riguardano l’essere sostenuto, incoraggiato e ascoltato, per la donna, invece, il bisogno di sicurezza, protezione e presenza sono quelli maggiormente pregnanti. I comportamenti che si indirizzano quindi verso il soddisfacimento di questi bisogni sono quelli maggiormente indicativi circa la verità del sentimento, pur mantenendo alla base il caposaldo della reciprocità, fondato sul chiedere e sapere di poter chiedere. Se non si parla, infatti, comprendere il comportamento dell’altro, diventa un’impresa titanica, soprattutto nelle fasi iniziali di un rapporto.
Come aiutare l’altro ad esprimere le emozioni?
Partendo dal presupposto che è fondamentale comprendere l’altro per realizzare se stessi nella vita di coppia, è altrettanto importante divenire consapevoli che l’amore non basta. L’innamoramento è ben diverso dall’amore che a sua volta è differente dall’amore romantico e dall’intimità. L’amore si fa e si dà, si costruisce ogni giorno “consapevolmente”. Risolvere e gestire i conflitti nella coppia, ritagliarsi i propri spazi, essere presenti : tutto questo non può essere fatto sotto la spinta dell’amore romantico, ma è legato ad uno spazio più cognitivo, ad un amore più pensato e creato. Se quindi l’amore è anche intenzione, va da sé che alcune cose possano essere migliorate e apprese all’interno della coppia: tra queste vi è la parte della comunicazione, legata in particolar modo al riconoscimento dei bisogni e all’espressione delle emozioni.
Anche se la difficoltà nell’espressione delle emozioni e dei bisogni è presente in ambo i sessi, persiste tuttavia la determinante culturale che vuole l’uomo più chiuso e inaccessibile mentre la donna balia-traghettatrice si fa interprete dei vissuti del partner, li elabora li interpreta e li riporta nella coppia. Aiutare l’altro ad esprimere le emozioni significa in primis padroneggiarle e saperle leggere in connessione con i bisogni, per attuare poi una comunicazione assertiva ed efficace in cui un partner che fa da specchio ( tecnica del rispecchiamento es. “Capisco, come ti senti: anche io in questa situazione mi sentirei….. come te”), riformula lo stato d’animo dell’altro che si sentirà così compreso e accoglierà così il sentimento e l’emozione che in quel momento lo animano. “Quando accade X, io mi sento Y, perché ho bisogno di Z”. Questa formula permette all’altro di comprendere i bisogni del partner e di agire coerentemente con essi: chi adotta questa formula all’interno della coppia farà da modello per una comunicazione più sana ed efficace, fatta non di rimpallo di colpe e svalutazioni, non di sottili manipolazioni o giochi di potere, bensì d crescita personale costante e condivisa.
Ricordiamoci: ci sentiamo bloccati se per primi giudichiamo le nostre emozioni come sbagliate e i nostri bisogni come inadeguati, impropri, superflui. C’è quindi un lavoro a monte da fare sulla legittimazione dell’essere se stessi, sull’ascolto della propria persona e sulla tutela della propria unicità, molto spesso piegata da un’educazione alla repressione in nome di una massificazione che spersonalizza anziché far emergere le peculiarità e le potenzialità di ognuno di noi.
Bibliografia
Walter Riso, “Se fa male non vale”, Ed. Piemme, 2015
Donatella Marazziti “La natura dell’amore”, Rizzoli BUR, 2007
Stephen Whitehead, “Incontrare l’amore”, Baldini Castoldi Dalai, 2004
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