Philofobia: quando trovare l’altra metà del cielo ci mette paura

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philofobia psicoterapia romaA cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma 

“Paura d’amare”, una canzone di Marco Masini di qualche anno fa.. un vago ricordo di una musicassetta e dei primi cd, ma delle parole che suonano attuali adesso come allora. Quella che oggi chiamiamo Philofobia, ovvero la paura di innamorarsi, è infatti una insolita quanto mai pericolosa situazione che può sfociare nella psicopatologia.

Ma chi è il philofobico?

Sappiamo da sempre che nella frequentazione l’altro viene idealizzato e sembra incarnare la perfezione: i pensieri sono interamente dominati dalla sua figura e i nostri interessi vengono parallelamente come inghiottiti dal buco nero dell’amore. Tutto inizia a ruotare intorno all’altra persona, adattiamo la nostra vita ai ritmi dell’altro e iniziamo a cedere parti di noi, del nostro carattere, del nostro modo di essere e di pensare, per adottare stili e comportamenti della nostra dolce metà: insomma, introiettiamo la rappresentazione che abbiamo del nostro partner per sentircelo più vicino, più nostro. E tutto questo avviene in maniera naturale, senza alcuna fatica, anzi, spesso anche contro chi, conoscendoci, dice: “ Ma tu non sei così, che ti è accaduto?!”

Questo processo avviene per attenuare l’ansia da separazione e garantirsi così la prossimità dell’oggetto d’amore da cui dipende il nostro benessere.

Tuttavia, anche quando il partner non sembra avere dubbi  e ricambia i sentimenti dell’altro, molti individui restano comunque insicuri, incapaci di tranquillizzarsi e di abbandonarsi a ciò che provano, rinunciando spesso all’amore in modo volontario: ci troviamo così di fronte alla figura del philofobico; ovvero colui che ha paura di sperimentare l’amore. Si tratta anzitutto di una fobia a tutti gli effetti, in quanto si tratta di una paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (in questo caso un probabile rifiuto o il non verificarsi del “lieto fine”).
La persona che soffre di fobia specifica , reagisce quasi sempre con una risposta ansiosa di fronte allo stimolo fobico. Questa risposta ansiosa a volte può prendere forma di attacco di panico sensibile a quella particolare situazione con sintoni organici ben precisi quali sudorazione profusa, crisi d’ansia ricorrenti, insonnia, dispnea, in alcuni casi anche forme depressive magari slatentizzate.

Nella maggior parte dei casi la situazione (o più situazioni) fobica viene sistematicamente evitata e in alcuni casi viene sopportata con intensa ansia o disagio.
Un dei criteri adottati nel DSM-IV è che l’evitamento attivo, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione fobica, interferiscano significativamente con la normale routine dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali: in quest’ultimo caso il soggetto non riesce così ad instaurare nessun tipo di relazione di coppia.

Ma perché si diventa philofobici?

Da un punto di vista biochimico, l’ossitocina, insieme alla vasopressina, sono i peptidi maggiormente coinvolti nelle relazioni affettive, regolando le funzioni degli organi periferici coinvolti nei comportamenti riproduttivi attraverso l’interessamento dell’amigdala, dell’ipotalamo e del nervo vago.

Si può quindi ipotizzare che bassi livelli di ossitocina e vasopressina siano concause di varie patologie quali, autismo, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, fobie e tutte le condizioni in cui siano presenti deficit nelle relazioni sociali.

Se consideriamo invece l’aspetto relazionale, si può probabilmente individuare, nel passato del philofobico, un rapporto conflittuale coi genitori, dai quali si sono sentiti, a torto o a ragione, ma quasi sempre a ragione, poco amati, se non addirittura rifiutati e questa paura di dare amore e di ricevere nulla, se non umiliazioni, a volte, li lacera dentro come una ferita mai rimarginata che finisce nel tempo per aprirsi tutte le volte che si creano i presupposti per un amore nascente, per un innamoramento che potrebbe facilmente tramutarsi in un amore, in un’unione.

La persona affetta da Philofobia dunque evita di esporsi in contesti di coinvolgimento sentimentale ed entra in un loop, in un circuito di mantenimento entro cui non dà a se stesso la possibilità di sconfermare le proprie convinzioni, dedicandosi oltremodo al lavoro, così, da ipercompensare la propria presunta fragilità legata all’esporsi in una storia.

Spesso i philofobici sono, non a caso, uomini e donne in carriera o apparentemente appagati nella proprio lavoro per lo più di alta responsabilità,che si ritrovano volutamente a lavorare nei week end. Si tratta, tuttavia di persone che spesso, se da un lato si lasciano coinvolgere dal lavoro per non esserlo dai sentimenti, dall’altro sono schiacciati dalla paura e dalla consapevolezza di aver perso un’occasione per essere felici e si sentono prigionieri nella gabbia dorata che loro stessi si sono costruiti. Paura dell’abbandono, sfiducia e deprivazione emotiva incatenano la persona che immagina il suo futuro solitario, senza nessuno che lo ami davvero. Nella mia esperienza clinica spesso mi è capitato di incontrare persone che per difendersi dalle emozioni si sono creati una gabbia assai robusta ed ho sempre ricordato loro che “una gabbia non permette agli altri di entrare, ma non permette nemmeno a noi di uscire”.

Chi sente quindi di aver sviluppato questa paura d’amare è bene che:

  • non chiuda mai la porta alla possibilità di innamorarsi e di creare un legame duraturo,
  • eviti di anticipare negativamente l’esito della storia (profezia che si autoavvera).
  • non faccia paragoni con le storie precedenti, poiché ognuna ha una evoluzione e delle dinamiche proprie
  • parlari con il proprio compagno e condividere quello che si prova: timori, ansie, aspettative: ci si potrebbe scoprire piacevolmente colpiti dalla fiducia e dalla capacità dell’altro di ascoltarci ed “esserci”

La ricetta per creare il rapporto di coppia perfetto non esiste, è un’alchimia di sapori, odori, emozioni che ognuno sperimenta a proprio modo, bisogna solo trovare il coraggio di uscire dal proprio schema di abbandono che ogni volta si ripropone identico a se stesso: non entro in relazione per non soffrire, mentre in realtà la sola cosa che vorrei veramente nel profondo è provare a vivere l’amore.

 

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