Perchè si diventa dipendenti affettivi: origini e sviluppo di una forma di amore disfunzionale
A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma
Perchè si diventa dipendenti affettivi
“Io che non vivo più di un’ora senza te… “,queste le parole di una canzone degli anni ’60, preludio ad una serie di brani e melodie inneggianti all’indispensabile presenza dell’altro per dare colore e senso alla propria vita. Già, perché se da un lato ricercare un partner biologicamente ideale è un comportamento evolutivamente adattivo, dall’altro, sviluppare una vera e propria ossessione unidirezionale per quest’ultimo, fino al punto di perdere se stessi, non ha più la connotazione di un amore sano: molto probabilmente ci troviamo di fronte ad una relazione disfunzionale caratterizzata dalla dipendenza affettiva. Il partner è il primo ed ultimo pensiero della giornata, uno scappa e l’altro rincorre, uno dice “ho bisogno di te” e l’altro si volta dall’altra parte: come è evidente, all’interno di questa forma di amore patologico, vi è una costante assenza di reciprocità, un dislivello abissale tra chi dà oltre ogni misura e chi riceve a senso unico, oltre ad un concetto di Sé come bisognoso/incapace da parte del “donatore” contrapposto al grandioso/speciale da parte del “ricevente, soprattutto se ha caratteristiche narcisiste.
Ma quali sono le origini, perché si diventa affettivamente dipendenti?
Anzitutto è necessario considerare la dipendenza affettiva come “sintomo” di un attaccamento disfunzionale avvenuto nella primissima infanzia con le figure di accudimento. Il fatto di dipendere dall’altro è, difatti, una condizione naturale negli animali, se facciamo riferimento al periodo successivo alla nascita. Tuttavia, per l’uomo, la permanenza nel nucleo familiare dura più a lungo e, rispetto alle altre specie, il raggiungimento dell’indipendenza avviene più tardi. E’ quindi chiaro il ruolo cruciale delle figure adulte sia per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni primari ( fame, sete, protezione etc..), sia per la mediazione, l’organizzazione e il filtro relativo alle informazioni sul mondo circostante e sulle relazioni.
Quello che può quindi verificarsi con un caregiver assente o rifiutante o spaventato di fronte al bambino, è che quest’ultimo sviluppi schemi cognitivi disfunzionali sul funzionamento di Sé , dell’altro e del mondo. Se per esempio la persona ha avuto un attaccamento insicuro con una figura iperprotettiva, quello che interiorizza, fra le varie informazioni, è una cognizione di sé come “sono incapace”, oppure “il mondo è pericoloso e io non so difendermi”, tendendo quindi a evitare situazioni oppure a dipendere dal partner nella ricerca di sostegno e protezione costanti. Stessa cosa può per contro verificarsi con un genitore emotivamente deprivante. In questo caso quello che riscontriamo è una mancata considerazione fino alla svalutazione dei bisogni del bambino, sia pratici che soprattutto emotivi: “è una cosa stupida e infantile”, “tu sei convinta che questa cosa ti piaccia, ma io ti conosco e so che non è come dici!”. Queste frasi, come molte altre alla stessa stregua, fanno parte di un dialogo deprivante in cui l’altra persona, si sentirà sbagliata e finirà con il perdere informazioni importanti su ciò che ama e desidera davvero. Come possiamo vedere è quindi chiaro il terreno su cui si edificherà un futuro rapporto sbilanciato: la persona da adulta, non chiederà, non esprimerà bisogni e desideri perché si aspetterà svalutazione e deprivazione, finendo con il non sentirli più ( oppure pretenderà in futuro un trattamento di riguardo quale “risarcimento” di quanto subito, ed è qui identificabile il bisogno di “specialità” tipicamente narcisistico).
La medesima situazione può verificarsi con caregiver palesemente svalutanti che favoriscono la costruzione di un immagine di sé come persona inadeguata, indegna di amore, incapace ed impotente. “Sei una stupida!” “Non vali niente!”
Molte persone affettivamente dipendenti hanno, infatti subito anche abusi, dove per abuso si intende un “cattivo uso della relazione e del ruolo ricoperto all’interno della stessa”: trascuratezza, maltrattamenti emotivi, mancanza di protezione e di empatia, utilizzo del figlio come “confidente” o capro espiatorio, adultizzazione di quest’ultimo. Queste, come altre condotte simili, vanno a costituire una serie di “traumi per omissione”, ovvero legati a mancanze di elementi fondamentali per lo sviluppo di una personalità bilanciata.
Da tali premesse non possono che derivare tutta una serie di comportamenti atti a mantenere la prossimità con la figura di attaccamento in età infantile prima e successivamente con il partner in età adulta. Se ho imparato che ( oppure ho avuto un esempio di donna che ha convalidato certi comportamenti, approvati anche dalla società), assecondando l’altro, sacrificandomi per lui e preoccupandomi in tutto e per tutto del suo benessere, questi garantisce la sua presenza, è ovvio che riproporrò il medesimo schema nella relazione di coppia, così da colmare le carenze affettive, emotive e pratiche, con atteggiamenti iperprotettivi, controllanti e di sottomissione, nonostante l’assenza, la svalutazione e la mancanza di riconoscimento da parte dell’altro. La scarsa stima di sé e la profonda non amabilità che la persona sente cucita addosso come una seconda pelle, fa si che si adottino i comportamenti più disparati pur di soddisfare ogni bisogno del partner e scongiurare così il rischio dell’abbandono e dell’ennesima sofferenza.
Come infatti accennato all’inizio, la dipendenza affettiva è un sintomo che ci impone uno stop: ci lascia impantanati in una situazione al fine di andare a risolvere le dinamiche iniziali che l’hanno creata e che hanno spesso a che fare con l’abbandono, la vulnerabilità, la deprivazione emotiva e l’abuso. Tali schemi, come detto, derivano dall’interazione con la figura di attaccamento: la persona si sentirà quindi vulnerabile, oppure non destinata ad essere amata, o ancora abituata a vivere relazioni d’abuso al punto da non percepire i segnali di pericolo all’interno di una relazione disfunzionale, ma riconoscendo invece quest’ultima come la sola tipologia di rapporto che può instaurare.
E’ quindi chiaro come, la relazione attuale sia solo l’epilogo di tutta una serie di nodi affettivi e legami tossici che vanno pian piano dipanati, così da poter scoprire effettivamente chi si è e cosa si ama, non per essere riamati, ma per arricchire anzitutto la propria vita e trovare il proprio equilibrio.
Potrebbero anche interessarti i seguenti articoli:
“Relazioni tossiche, campanelli d’allarme in legami pericolosi”
“Uscire dal legame con un vampiro emotivo: spezzare le catene della manipolazione”
Per conoscere i vari Workshop di Psicotime su Dipendenza Affettiva, Narcisismo e Relazioni Malsane in programma a Roma in programma Roma, vai nell’apposita sezione dedicata ai Workshop e Corsi, oppure clicca qui
Per contattare la Dottoressa Venturini, vai nell’apposita sezione Contatti, oppure cliccando qui
[totalpoll id=”1803″]
[totalpoll id=”1809″]
[totalpoll id=”1810″]