Guarire dalla Vulvodinia: uscire dal tunnel è possibile

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Il mio percorso terapeutico con la dottoressa Venturini è iniziato nell’ottobre del 2021, subito dopo aver ricevuto una diagnosi di vulvodinia che, come mi spiegò la mia ginecologa, andava curata attraverso un approccio sia farmacologico che psicologico. Aver ricevuto quella diagnosi fu essenziale per me: per molti anni, a causa del pudore e della vergogna che provavo, avevo celato ai miei cari la presenza di questo dolore, e il non sapere di che cosa si trattasse, quale fosse la sua natura, mi induceva sentimenti di angoscia
e di ansia che cercavo a tutti i costi di reprimere, ma che non facevano altro che gonfiarsi. Quando la situazione divenne insostenibile, mi feci coraggio e chiesi il parere di alcune ginecologhe, le quali però non furono in grado di fornire risposte alle mie domande.

L’inquietudine si acuiva, mi sentivo come se stessi scalando una montagna nera della quale non riuscivo a vedere la cima, ma ormai ero determinata ad arrivarci. Alla fine sono entrata in contatto con una specialista in vulvodinia, la quale non solo ha riconosciuto il mio disturbo dandogli finalmente un nome, e mi ha anche indirizzato alla dottoressa Venturini. La prima volta che ho visto la dottoressa, ho capito immediatamente che sarebbe stata in grado di aiutarmi. Mi ricordo che mi è bastato guardarla un attimo per pensare: “Con lei sono al sicuro”. La verità è che già da qualche tempo avevo intuito che c’era qualcosa che non andava nel mio approcciarmi alla vita e nel mio relazionarmi con me stessa, ma avevo paura di ammetterlo, avevo paura di confrontarmi con i miei “demoni”, con il mio passato. Una parte di me mi diceva che avevo qualcosa di oscuro dentro, qualcosa di osceno che avrebbe allontanato chiunque da me, e che sarebbe stato giudicato malamente da tutti, compreso un eventuale psicoterapeuta. Ma non è stato così. La dottoressa mi ha accolto con
dolcezza, mi ha ascoltato veramente. Mi sono sentita capita e accettata, e ho pianto, come ho pianto tante volte nel corso dei nostri incontri, poiché grazie a lei sono riuscita ad aprirmi e a sfogare il caos che avevo dentro, una sofferenza che intuivo essere lì, da qualche parte, sepolta nel profondo. Ma io non volevo vederla, non riuscivo a gestirla. Stavo male, e stavo male soprattutto perché non ero in grado di ascoltarmi, di trattarmi con gentilezza e compassione, come invece ha dimostrato di saper fare la dottoressa. Lei mi ha
insegnato che il mio dolore aveva un valore, che andava riconosciuto, lasciato esprimere senza tentare di nasconderlo. Che le emozioni cosiddette “negative” in realtà ci aiutano a renderci conto che c’è qualcosa che non va nella nostra esistenza, qualcosa da cambiare. Che non sono nemiche ma alleate, e che va prestato loro l’orecchio senza criticarle. Io questo non lo sapevo. Mi giudicavo aspramente, credevo di essere sbagliata, “difettosa”, priva di valore. Credevo che le persone si sarebbero allontanate una volta conosciuta la mia intimità, perciò ho indossato una maschera, ho provato ad essere perfetta in ogni modo possibile. La figlia perfetta, l’amica perfetta, la studentessa perfetta, persino la conoscente perfetta. Essere perfetta era un dovere morale, dovevo anticipare i desideri degli altri, soddisfarli, o loro mi avrebbero esclusa, mi avrebbero criticata, mi avrebbero, in un certo senso, violata. Avrebbero violato quei limiti che
così tante volte erano già stati invasi. Non avrei potuto permetterlo in alcun modo, non avrei potuto permetterlo perché non sarei stata in grado di sopportare un’altra ferita, perché ero un’inetta e senza l’amore e l’aiuto degli altri non sarei mai riuscita a sopravvivere da sola. Io ero solo un giocattolo rotto.

Oltre a questo, ero convinta che la felicità degli altri dipendesse da me, che fosse mio dovere gestire il loro mondo emotivo. Ogni giorno provavo uno stress intenso, angoscia ed ansia per quasi ogni azione. Non avevo alcun diritto ad essere felice, ma dovevo sacrificarmi per il bene degli altri. Ero cattiva, e meritavo di essere punita, e mi sentivo in colpa se per qualche motivo un mio amico, un mio conoscente, un mio insegnante o miei genitori si sentivano a disagio o non soddisfatti dal mio comportamento. In pratica, il mio vero volere, la vera me stessa, i miei bisogni, desideri, sogni, non erano importanti. E se cercavano di emergere, io li ricacciavo indietro, li assopivo ed inibivo. Utilizzavo lo studio come strategia di evitamento. Questo era lo stato in cui mi trovavo quando ho iniziato la psicoterapia, e la vulvodinia era in parte generata dalla somatizzazione di tutto questo. Ma io ero animata dal desiderio di modificare questa situazione, lo volevo tantissimo perché ero stata male per troppo tempo. Ho seguito alla lettera tutti i
consigli e i discorsi che mi ha fatto la dottoressa, ho riflettuto, mi sono impegnata perché, in fondo a tutto questo ammasso di angoscia e turbamento che provavo, pompava fortissimo, come fosse un cuore, l’amore che provavo per me stessa. È stato quello a farmi andare avanti così decisa, ed è sgorgato sempre più fluentemente man mano che la terapia avanzava. Innanzitutto, la dottoressa mi ha fatto capire che la felicità degli altri non dipendeva da me, ma che ognuno aveva la responsabilità di gestire il proprio mondo emotivo. In secondo luogo, ho realizzato che prendermi cura di me non è un atto egoistico nei confronti degli altri, ma un atto d’amore nei miei confronti.

La mia crescita personale, il mio benessere e la mia salute sono diventati, da allora, il mio valore principale. Mi sono resa conto di avere il diritto di star bene, di evolvere e di esplorare il mondo. Poi ho messo in discussione il rapporto con la mia famiglia e tutte le dinamiche familiari, comprendendo che alcune di esse erano disfunzionali e che da esse dipendeva il mio disagio, ma che allo stesso tempo avevo acquisito la forza per cambiarle. Ho imparato a validare da sola i miei sentimenti e ad esprimermi quando qualcosa non mi sta bene. Mi sono emancipata dalla figura della figlia perfetta che credevo che i miei genitori volevano che fossi. Grazie ad uno strumento
che mi ha fornito la dottoressa, ora so individuare i miei pensieri sabotanti, so lasciarli sfogare, dar loro un nome, calmarli e razionalizzarli, in modo tale da tornare in uno stato emotivo di benessere. La cosa migliore è che so farlo in autonomia, e questo mi permette di sentirmi sempre al sicuro, perché nessuna spirale di pensieri disfunzionali potrà più trascinarmi nello stato di profondo disagio esistenziale in cui mi trovavo nei primi tempi della terapia. Mi ricordo che il momento più difficile di tutti è stato a Gennaio del 2022, quando entrai in una relazione tossica che mi portò al limite. Nella fase peggiore mi sembrava di impazzire, la mia ansia, da sempre molto alta, era arrivata alle stelle, e mi sentivo molto distante dalla realtà, come se i suoni e gli oggetti intorno a me appartenessero ad un’altra dimensione. Ero in trappola, e l’unica cosa che volevo era scappare dalla mia testa, fuggire dal mio corpo che in realtà mi stava lanciando dei segnali incontrovertibili, mi stava dicendo di lasciare quella persona, di scegliere l’amore per me piuttosto che la fedeltà verso di lei. Descrissi alcune delle dinamiche che intercorrevano tra me e la mia partner alla dottoressa, e lei mi fece notare che non erano sane, e mi consigliò di fare attenzione. Alla fine fui io a prendere la decisione: realizzai che quella ragazza non era quella giusta per me e la lasciai, fuoruscendo finalmente da quell’incubo. Non fu facile, ma apprezzo molto come la dottoressa abbia trattato con delicatezza l’argomento, dimostrandomi che aveva fiducia in me senza affermare esplicitamente che avrei dovuto lasciarla. Se le cose fossero andate così, quella decisione sarebbe stata la sua, e non la mia.

La dottoressa mi ha aiutato a riconnettermi con me stessa e a distendere i rapporti con i miei familiari unendo la terapia EMDR alla Schema Therapy, strabiliandomi per le capacità che aveva la mia mente, se aiutata e facilitata, di guarirmi. Grazie a queste tecniche, e all’EMDR in particolare, ho potuto elaborare traumi importanti che erano stati alla base del mio approccio disfunzionale nei confronti di me stessa, degli altri e del mondo, e, ora che la psicoterapia è finita, mi sento finalmente fiduciosa, leggera, aperta alle possibilità che la vita mi offre. Dopo poco meno un anno di terapia, ad oggi posso dire che, mentre prima avevo paura di prendere un treno, a breve invece intraprenderò il mio primo viaggio all’estero in solitaria, e invece di provare ansia nutro un forte entusiasmo. La vulvodinia è guarita, sono felice, mi sento molto più vicina al mio vero Sé, e ai fini di ciò è stato fondamentale l’aver imparato a comunicare con me stessa con amorevolezza ed equilibrio.
Quest’ultimo è senza dubbio l’insegnamento più grande che la dottoressa m’abbia dato, e perciò la ringrazio per essere l’eccezionale professionista che è e per avermi aiutato a trovare dentro di me queste incredibili risorse e a farne tesoro. Tutti possono imparare ad amarsi, e per questo motivo invito chiunque ad intraprendere un percorso psicoterapeutico per migliorare la qualità della propria vita, e a farlo senza esitare, perché non c’è un mostro dentro di noi, come io all’inizio pensavo, ma solo un bambino che vuole emergere e correre gioiosamente verso la vita, e che ha bisogno che noi lo prendiamo per mano e che iniziamo a correre insieme a lui.