“Sono troppo timido!” Quando la timidezza ci blocca e può diventare un ostacolo nel quotidiano
A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma
La timidezza è un aspetto caratteriale costituito da un moderato imbarazzo con cui la persona affronta situazioni e interazioni sociali. Se da un punto di vista fisiologico quello che si riscontra sono le medesime reazioni tipiche dell’ansia ( battito accellerato, sudorazione, tendenza ad arrossire), a livello comportamentale si possono evidenziare:
- Rigidità comportamentale: la persona cerca di comportarsi nel modo socialmente corretto per evitare un ipotetico giudizio altrui. Quello che ne risulta è un atteggiamento rigido, non naturale, quasi ingessato.
- Rigidità delle proprie reazioni emotive: cercando di controllare le reazioni emotive, quello che ottiene la persona è però l’effetto contrario, ovvero le acuisce
- Difficoltà nel dialogare: per la convinzione errata che i propri discorsi possano risultare poco interessanti o noiosi, non intrattiene lunghe conversazioni. Quello che la persona sperimenta è infatti una sorta di vuoto mentale, dovuto alla serie di pensieri che affollano la sua mente e che portano ad estraniarlo dalla conversazione, con il risultato di sentirsi fuori dal contesto.
- Tendenza a mettersi in disparte e ad evitare il contatto visivo: la paura del giudizio porta l’individuo a comportarsi per dare meno nell’occhio possibile. Quello che tuttavia si verifica è che, attraverso l’evitamento, il timore del giudizio ( anticipato e mai realmente sperimentato) aumenta, con conseguente consolidamento della condotta disfunzionale
A livello cognitivo, quello che si può individuare sono forme di pensiero anch’esso rigido, egocentrico e stereotipato. Si tratta, infatti, di pensieri automatici errati, disfunzionali, quali: lettura del pensiero (“ se mi comporto così, lui/lei penserà che…) catastrofizzazione (“tutti mi guarderanno, rideranno di me e io mi bloccherò), doverizzazione ( “non devo sbagliare”) etichettamento (“sono imbranato”). Questi, più di altri, inducono la persona ad adottare tre diverse reazioni comportamentali: passività/ sottomissione, aggressività/attacco, freezing/blocco.
Nel primo caso, partendo dalla profonda convinzione di non essere adeguato, all’altezza e che per questo verrà giudicato dall’altro, inizierà ad innescare dei comportamenti di autoesclusione o di fuga che finiranno per confermare la convinzione di base di inadeguatezza ( profezia che si autoavvera). Nel secondo caso, invece, la persona può ipercompensare il senso di inadeguatezza e la frustrazione relativa, rivestendo il ruolo dello spaccone o dello spavaldo, fino all’estremo dell’aggressività. Nel caso invece del freezing, la persona resta invece totalmente paralizzata di fronte alla situazione ansiogena.
Ma da dove origina questa convinzione di inadeguatezza e incapacità alla base della timidezza??
Molti autori attribuiscono la causa della timidezza ad un blocco psicologico legato a condizionamenti ambientali e soprattutto familiari. Se infatti, il bambino viene continuamente rimproverato per dei comportamenti che i genitori reputano sbagliati, se viene spesso svalutato, deriso, lasciato a se stesso, questi inizierà a sentirsi rifiutato, per poi reprimere i propri comportamenti giudicati eccessivi e fuori luogo, nel tentativo di compiacere gli altri. Allo stesso modo, chi ha avuto genitori iperprotettivi, non avrà sviluppato quelle abilità necessarie per procedere autonomamente nel proprio percorso di vita, sentendosi incapaci, fragili e senza guida. La timidezza può comparire sin dall’infanzia nel primo confronto con i pari ( iniziano i paragoni da parte del bambino con gli amichetti), per poi accentuarsi nell’adolescenza quando il corpo cambia e l’identità si sta formando. Spesso la persona cerca di abbattere le “barriere” usando alcol o droghe o comunque sostanze che in qualche modo agiscono abbattendo i freni inibitori, così da risultare più sciolto, oppure, nei casi migliori, evita le situazioni e reprime le emozioni.
La timidezza ha quindi come base, la PAURA DEL GIUDIZIO altrui ( strettamente collegato al proprio giudizio di incapacità) e il SENSO DI INADEGUATEZZA NEL FRONTEGGIARE LE SITUAZIONI, con la conseguente paura di entrare in intimità con l’altro che potrebbe criticare. Ne conseguono relazioni superficiali in cui la persona non si mostra per quello che è.
Il trattamento Cognitivo-Comportamentale in caso di timidezza
L’intervento terapeutico di tipo cognitivo-comportamentale si compone, appunto, di due aree di intervento: una cognitiva e una comportamentale
- Come primo passo dopo aver effettuato quella che si definisce “concettualizzazione cognitiva”, si esplicita il ruolo cruciale dell’evitamento come meccanismo di mantenimento del disagio e come rinforzo della convinzione di non essere all’altezza
- Si prosegue poi con esposizioni graduali in vivo ( una graduatoria divisa in unità soggettive di disagio dalla minore alla maggiore), affrontando progressivamente le situazioni temute, partendo dalla meno ansiogena
- In contemporanea si ristrutturano i pensieri automatici e le convinzioni che alimentano l’ansia e la credenza di base relativa all’inadeguatezza. La persona, sperimentando la situazione precedentemente temuta, con occhi diversi, acquisirà anche nuove informazioni circa le proprie competenze e abilità sociali, con ricadute più che positive sull’autostima.
E’ importante ricordare come sia fondamentale un intervento tempestivo, per evitare che il disagio sperimentato dalla persona diventi cronico, con ricadute sulla qualità della vita. Contattare un professionista può quindi essere un valido strumento per ri-scoprire non solo la propria identità, ma anche per vivere con maggiore intensità e autenticità le relazioni e il quotidiano.
Bibliografia
Adrian Wells, “Terapia cognitiva dei disturbi d’ansia”, McGraw-Hill, 1997
Adrian Wells, Trattamento Cognitivo dei disturbi d’ansia, Mc Graw- Hill, 2003
Maria Rita Ciceri, “La paura” Ed. Il Mulino, 2013
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