Ansia Normale e Ansia patologica: quando un meccanismo difensivo diventa un modo di stare al mondo

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ansia normale e patologica psicoterapia cognitivo comportamentale romaA cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma

L’ansia, oltre ad essere un’emozione, è un potente meccanismo difensivo volto ad avvertirci di potenziali pericoli, presenti e non,  così da mettere l’individuo nelle condizioni di affrontarli nel migliore dei modi e di salvaguardare così la propria incolumità psico-fisica.

Tale meccanismo è mediato da diverse strutture neurofisiologiche costituenti il sistema della paura e la cui attivazione ci permette di evitare o di affrontare il pericolo. Chiaramente questo tipo di ansia è definibile “normale” e “non patologica”.

Alla luce di ciò appare dunque chiara l’esistenza di due tipologie di ansia: una cosiddetta “normale”, ovvero una risposta emotiva adeguata all’oggetto della paura, ed una “patologica”, nel caso in cui tale risposta sia sproporzionata.

Ma in che condizioni l’ansia normale diviene patologica?

Ebbene i criteri per stabilire se ci si trova di fronte all’una o all’altra condizione non sono semplici. In linea generale e ragionando per estremi di un continuum, potremmo definire l’ansia patologica come una risposta ansiosa “esagerata” rispetto alla “reale” pericolosità dell’oggetto che la scatena, pericolosità ovviamente stabilita in termini soggettivi. La funzione adattiva-difensiva dell’ansia si esplica solo entro livelli di attivazione emozionale ottimali, e cioè non troppo alti ne troppo bassi. Una risposta emotiva d’ansia troppo bassa ad esempio può sfociare in comportamenti di attacco realmente pericolosi per sé e per gli altri, mentre livelli troppo alti di ansia possono determinare reazioni eccessive altrettanto dannose per sé e per altri, come fuga e immobilizzazione (freezing)

Tuttavia spesso in ambito clinico si ha a che fare con forme d’ansia anche molto intense nelle quali, almeno apparentemente, non è individuabile un vero e proprio oggetto (persone, cose, situazioni) che inneschi nel paziente la risposta ansiosa. Ciò rimanda al problema del come individuare le reali cause dell’ansia patologica.

L’unico modo per risolvere alla radice l’ ansia patologica è quello dell’intervento psicologico che, per sua natura, mira all’individuazione e alla rimozione definitiva delle cause reali del disturbo. Se infatti decidiamo di intraprendere esclusivamente un percorso psicofarmacologico, sarà chiara la riduzione della sintomatologia, ma con un effetto temporaneo (legato cioè al tempo di assunzione del farmaco) e non vi sarà individuazione né rimozione della causa primigenia dell’ansia. Se invece all’intervento farmacologico viene abbinato quello di tipo psicologico, ecco che, agendo sull’insieme dei sintomi, è possibile proseguire con maggiore facilità alla scoperta e risoluzione dell’eziologia dell’ansia.

Tuttavia, prima di affrontare un percorso terapeutico volto alla risoluzione dell’ansia, è indispensabile tenere in considerazione che questa non è solo un problema, un disturbo da curare, bensì può rappresentare per l’individuo un modo costante di essere e di rapportarsi alla realtà, un modo di leggere se stesso, gli altri ed il mondo rimasto costante sin dall’infanzia.

A tal proposito diversi studi hanno infatti dimostrato che esiste una certa continuità dei disturbi d’ansia dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta.

Se ad esempio un bambino presenta ansia da separazione, oppure ansia cronica, o persino attacchi di panico,  è molto probabile che la sintomatologia evolverà in un disturbo d’ansia in età adulta (disturbo di panico, fobie, disturbo ossessivo compulsivo ecc.)

La comorbilità ( presenza di più patologie) frequentemente osservata con altre manifestazioni patologiche pone la questione della trasformazione del sentimento ansioso in una patologia diversa, come disturbi depressivi, disturbi del sonno, dell’alimentazione, ipocondria ecc.

Molti autori fanno una distinzione tra due forme di ansia:

– ANSIA DI STATO: che rappresenta l’esperienza di un particolare momento, in reazione a circostanze contingenti; ( es. questo esame mi rende ansioso)

– ANSIA DI TRATTO: che rappresenta la tendenza costante ad affrontare ogni situazione di vita con ansia eccessiva ( es.sono sempre stato un tipo ansioso)

Nel secondo caso l’ansia costituisce quello che viene definito un Tratto di personalità, ovvero modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali.

Quando tali tratti diventano rigidi e non adattativi e causano una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, possono condurre a varie problematiche, tra le quali in extremis, un disturbo di personalità.

Dunque l’ansia, intesa come tratto di personalità, può essere una modalità relazionale peculiare dell’individuo, più o meno patologica in relazione alla compromissione della vita socio-lavorativa ed alla sofferenza che porta con sé.

Il fatto che un individuo sia ansioso in modo non patologico (nel senso che il funzionamento sociale, lavorativo ecc. non sono compromessi e nel complesso è ben adattato al suo ambiente) non vuol dire che egli sia contento del suo modo di essere e che non voglia cambiare alcuni aspetti di sé. L’obiettivo in questo caso è raggiungere un maggiore benessere psicologico, con l’ottica cioè del “miglioramento” della propria condizione e non della “guarigione”.

Il problema fondamentale che per anni ha allontanato dall’ambito della psicologia le persone interessate ad una maggiore conoscenza di sé, finalizzata al cambiamento, è il fatto di considerarla esclusivamente affine all’area di intervento medico-psichiatrica, con l’effetto di una “medicalizzazione” della psicologia: l’ansia per anni è stata soltanto un disturbo da curare.

In realtà c’è un lavoro differente che va fatto sull’individuo in termini di psicoeducazione, prevenzione, promozione del benessere e soprattutto di attivazione delle risorse.

Non possiamo infatti ignorare il vantaggio secondario dell’ansia, vantaggio che è peculiare per ogni individuo e che ha permesso il mantenimento del disturbo. In poche parole c’è un perché alla base dello sviluppo di sindromi ansiose, come c’è un perché si sono sviluppate quelle e non altre patologie e soprattutto hanno una funzione specifica per la persona, assolvono un compito. Questo significa che un solo intervento farmacologico può letteralmente “seppellire” il compito evolutivo assolto dal disturbo d’ansia, con la conseguenza di uno spostamento verso un altro disturbo o con i riacutizzarsi dei sintomi al termine della cura farmacologica. Un intervento combinato con una psicoterapia, in particolar modo con la terapia cognitivo comportamentale, consente attraverso la concettualizzazione cognitiva, di individuare fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento, al fine di sostituire al disturbo d’ansia, modalità di risposta e di adattamento all’ambiente più funzionali e adeguate per l’individuo.

 

Bibliografia

Adrian Wells, “Terapia cognitiva dei disturbi d’ansia”, McGraw-Hill, 1997

Adrian Wells, Trattamento Cognitivo dei disturbi d’ansia, Mc Graw- Hill, 2003

Maria Rita Ciceri, “La paura” Ed. Il Mulino, 2013

 

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